30 aprile 2009

Il Duca d'Alba

Il bavero del mantello nascondeva parzialmente agli sguardi delle sentinelle di servizio a palazzo, il volto dell’uomo che, ogni sera, al crepuscolo, passeggiava nei giardini della residenza imperiale di Anversa, totalmente assorto nei suoi pensieri sotto lo sguardo vigile dei soldati ormai avvezzi a distinguere in quella sagoma leggermente curva, i tratti familiari del Duca.
Rapide sfuggenti occhiate, mosse più dal timore che dalla curiosità, sempre si alzavano al passaggio di quella figura ansiosa, mentre l’uomo, con passo deciso, percorreva svelto i vialetti per raggiungere i suoi appartamenti.
In quegli occhi cupi si potevano leggere ancora intatte, nonostante le violenze a cui avevano assistito, l’immutata determinazione nel portare a termine il proprio incarico con qualsiasi mezzo ed a costo di qualsiasi ferocia, sostenuta dalla completa fiducia che quel compito non gli fosse stato affidato dal sovrano unicamente per difendere gli interessi della corona spagnola in quelle terre, quanto piuttosto da una volontà superiore che si serviva di lui come strumento per riaffermare la vera fede estirpando i demoni dell’eresia.
Solo tale convinzione, unita alla totale devozione verso quella stirpe regale, che Dio stesso aveva chiamato a governare il mondo, gli permettevano di superare rimorsi ed incertezze, firmando ogni giorno decine di condanne a morte.
E mentre guardava le verdi colline del Bramante e ne assaporava i profumi acri, confusi nell’aria umida d’autunno, la sua mente correva lontano alle terre aride e desolate di Castiglia, agli altopiani dell’Aragona ed ai monti Cantabrici della Galizia, dove, nelle battute di caccia a cervi e daini, aveva lasciato per sempre la sua giovinezza.
E quei soldati, che lo avevano seguito nelle lunghe guerre d’Italia, mercenari senza famiglia né futuro, indifferenti ad ogni violenza e sopruso, erano ormai il solo legame che gli rimaneva con la sua vita di un tempo, quando anch’egli dava libero sfogo al suo vigore giovanile, guidando personalmente i suoi tercios in battaglia ai saccheggi delle città o nella devastazione di villaggi e campagne.
Sempre più spesso però, ogni notte, si sorprendeva a scrutare il cielo stellato ed a cercar di cogliere il rumore della sua anima inquieta, ed allora, per qualche minuto, si soffermava vicino alla piccola fontana tra gli alberi vicino al corpo di guardia, così immersa fra rami e siepi da sfuggire agli sguardi attenti delle sentinelle, là dove sembrava che anche il tempo si fermasse ai margini per non turbarvi il riposo che l’eternità lì vi si concedeva.
Poi in fretta, quasi impaurito dai suoi stessi pensieri, entrava nel cortile delle scuderie, saliva in fretta le ampie scalinate e percorreva con passo deciso i lunghi corridoi sbirciando appena, attraversando gli ampi saloni, le statue e le enormi tele che spesso disegnavano sfondi surreali alle spalle dei soldati che vigilavano sulla sua incolumità.
Sapeva che i suoi uomini lo temevano e non certo per le sue abilità guerriere, ormai precarie ed incerte, o per la morte che poteva ordinare e che sarebbe giunta immediata, quanto piuttosto perché terrorizzati al pensiero di poter un giorno cogliere sul suo volto una qualche traccia di dubbio, che, sfogo irrazionale della sua anima e della loro stessa coscienza, avrebbe tolto anche a loro, d’un lampo, le certezze sulle quali avevano giocato tutta la loro esistenza.
Richiudendosi la porta dello studio alle spalle lasciava poi dietro di sé ogni incertezza, e sulla soglia, fissando per qualche secondo ora lo scrittoio con i fogli lì in attesa, ora il suo letto, trasformava una banale scelta quotidiana in un bivio del destino per molti uomini e donne, che, inconsapevoli, in quella scelta di stanchezza si stavano giocando la possibilità di aprire gli occhi nuovamente su un nuovo giorno.
E come ogni sera, mentre sorseggiava un vino impregnato dell’odore di muffa tipico delle terre di Catalogna, dischiudeva i pesanti tendaggi così da poter osservare dall’alto i tetti e le strade della città addormentata, cercava con lo sguardo la ronda che lentamente percorreva la via che la conduceva al porto, per poi fissare a lungo il profilo familiare dei galeoni ancorati in rada, che l’indomani sarebbero salpati alla volta di Cadice.

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