29 aprile 2009

Lisbona

I passi sempre più veloci ed il respiro affannoso risuonavano nel vicolo, mentre l’ombra scivolava furtiva, rasente i muri, passando da una zona oscura all’altra e sfuggendo alla fievole luce delle poche lanterne.
L’uomo, voltandosi continuamente indietro, fissava ansioso l’entrata del vicolo per poi fermarsi improvvisamente in un androne, in assoluto silenzio, così da poter percepire un eventuale rumore di passi diversi dai suoi.
La paura e l’ansia lo avevano aggredito subito, fin all’uscita dalla locanda, dopo l’incontro con l’emissario del Duca de Andrade.
Era stato scoperto; ed il Conte di Guimaraes in persona aveva ordinato ai suoi uomini di eliminarlo quella notte stessa, così l’indomani la sua testa sarebbe stata presentata al re e poi da questi allo stesso Duca de Andrade, ambasciatore del re di Spagna a Lisbona, con le proteste ufficiali per l’ennesimo atto di spionaggio perpetrato a Corte da Filippo II.
Il gioco delle parti tra i regnanti richiedeva infatti queste messinscene teatrali, sorrisi e bonaria ironia nei rapporti ufficiali con i rispettivi ambasciatori, ai quali facevano da contraltare crudeli e sanguinarie ritorsioni, in un gioco delle parti degno di due primedonne bizzose, se non fosse stato tutto svolto sulla pelle dei propri cortigiani.
Altre volte aveva assistito a questi grotteschi spettacoli, che invero stimolavano e solleticavano le perverse fantasie della nobiltà presente a Corte, ma adesso, che la sua stessa vita era in gioco, ne provava tutto il terrore che prima aveva scorto solo nei volti di altri.
Da alcuni mesi anche lui passava informazioni alla Corte di Filippo II, e tramite il Duca de Andrade inviava all’El Escorial informazioni riservate sui convogli in partenza per le Indie, sulla consistenza delle guarnigioni delle piazzeforti portoghesi poste in Algarve e lungo la frontiera con l’Andalusia, e persino sulla dislocazione delle batterie di cannoni ubicate, sulle due rive del Tago, a difesa della stessa Lisbona.
Tutto era cominciato quasi per gioco, allorchè circa un anno prima, durante una festa a Corte, era stato avvicinato da una delle figlie del Duca de Andrade, che dopo alcune settimane di frequentazione diurna e notturna, gli aveva esplicitamente chiesto di passarle quelle informazioni in cambio della sua condiscendenza e di non poca moneta sonante.
Erano quelli i tempi in cui il Re di Spagna era giunto nella determinazione di annettersi a qualsiasi costo il Regno del Portogallo e tutti i suoi possedimenti d’oltremare in Asia e nelle Americhe, così da poter poi rivolgere ogni sua attenzione all’Inghilterra e alle Province Unite ribelli; e per far questo era disposto a ricorrere ad ogni mezzo, per raccogliere tutte quelle informazioni vitali, sui punti deboli del Regno di Sua Maestà Don Sebastiao di Portogallo.
E così lui, Luis de Angel Riberio, secondogenito del Conte di Cascais, fino ad allora annoiato e sfaccendato giovane rampollo di quella nobiltà melliflua e corrotta, aveva deciso di entrare nel gioco, non certo per i soldi o per le grazie della bella Beatriz de Andrade, ma piuttosto per dimostrare a se stesso ed a suo padre che anche lui aveva le capacità di intessere intrighi e di sfuggire alle noiose consuetudini di Corte.
Un rumore in fondo alla strada lo riportò d’improvviso alla realtà della fuga.
Tacque, cercando di afferrare attraverso il silenzio e l’oscurità qualche indicazione che lo aiutasse a capire se era seguito o addirittura già scoperto.
Delle voci, appena percettibili si avvertivano nel vicolo, e subito dopo gli sembrò di vedere delle ombre, come sagome indistinte, nella zona avvolta nell’oscurità da cui era passato pochi istanti prima.
Erano certamente i sicari del Duca de Guimaraes che venivano a guadagnarsi la ricompensa promessagli dal loro Signore.
Era in trappola, e non aveva alcun modo di sfuggirgli per raggiungere il battello, messogli a disposizione dallo stesso Duca de Andrade ed ancorato poco distante dalla Praça do Comércio, dove, poi, nascosto tra le balle di tessuto e le stoffe grezze dirette a Valencia, sarebbe riuscito a sfuggire in Spagna.
Stringendo con forza il calcio della pistola, che mai prima di allora aveva usato, la estrasse dalla fodera del mantello, trattenendo il respiro, pronto a sparare nell’ombra alla sua stessa paura.
Una sagoma indistinta d’improvviso scivolò fuori dall’oscurità e si avvicinò silenziosamente, con passi decisi, nella direzione del suo nascondiglio.
Evidentemente, pensò Luis, il sicario non lo aveva visto e pensando che avesse già lasciato il vicolo si affrettava verso l’altra uscita posta in direzione dell’Alfama, per inseguirlo.
Il profilo dell’uomo diveniva sempre più nitido, così come ben visibile era ora il lungo coltello che questi portava in mano.
Il colpo risuonò sordo ed improvviso, squarciando con una fiammata violacea le tenebre.
Luis vide l’uomo accasciarsi senza un grido, mentre già correva verso l’uscita del vicolo, sperando che gli altri sicari non fossero nelle vicinanze.
Corse a perdifiato lungo la Rua de S. Tiago, senza mai voltarsi, mentre in lontananza sentiva voci concitate, urla e rumori di passi.
Di lì a poco sarebbe giunto nella Praça do Comércio e avrebbe raggiunto la spalletta del molo e l’imbarcadero, nel punto esatto dove l’emissario del Duca gli aveva detto che una barca sarebbe stato ad attenderlo, per condurlo a bordo del battello ancorato in rada.
Il colpo lo raggiunse alla schiena quando era quasi all’angolo con la piazza, sentì le gambe mancargli e rotolò a terra, mentre un dolore improvviso lo coglieva alle spalle.
Girandosi vide sopraggiungere due soldati della milizia, uno dei quali teneva ancora in mano l’archibugio che ancora fumava per il colpo appena esploso e capì che forse questi avevano creduto di sparare al responsabile di un omicidio appena commesso nel malfamato quartiere dell’Alfama e non ad un nobile, figlio di un grande del Regno, quale lui era.
Morì sorridendo, pensando all’ilarità che in seguito avrebbe sollevato a Corte aver visto risaltare dal piatto, con sopra la sua testa mozzata, piuttosto che i riccioli corvini, i suoi orecchi a sventola, tratto ereditario ed indelebile di tutti i figli maschi della sua casata.

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